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Subalpina, si è cercato sotto terra quel che è sopra
La storia della Subalpina è una storia di lavoro, di tecnologia e di inquinamento. Si è andati a cercare sottoterra quello che era lì davanti a tutti, e ben si sapeva. Non trovare con la ruspa quello che è abbandonato sul piazzale non può essere una buona notizia
La storia della Subalpina è una storia di lavoro, di tecnologia e di inquinamento. Si è andati a cercare sottoterra quello che era lì davanti a tutti, e ben si sapeva. Non trovare con la ruspa quello che è abbandonato sul piazzale non può essere una buona notizia
La storia della Subalpina è una storia di lavoro, di tecnologia – la fabbrica al suo inizio è tecnologicamente avanzata – e di inquinamento. Nel 1972 la prima condanna del direttore dello stabilimento per scarico di acque reflue nel fiume e moria di pesci. Episodi analoghi si ripetono nel 1989 e nel 1995.
Nel 1987 la Subalpina viene acquisita dal gruppo Dalton e diventa ICS SpA.
A partire dagli anni ‘80 parte la protesta di chi abita intorno alla fabbrica: sono i residenti insieme alle associazioni ambientaliste che mettono alle corde lo stabilimento, protestando contro il rumore, la polvere e gli odori.
La situazione di inquinamento viene certificata dalla superperizia di Luigi Boeri, un luminare nel settore che su incarico del tribunale stabilisce che nella discarica storica, a strapiombo sul fiume, ci sono concentrazioni di cadmio e piombo fino a 14 volte il limite di legge.
Nonostante le ordinanze del tribunale e del comune di Arquata, la bonifica non parte. Nel 2015 un sopralluogo dell’Arpa certifica che nell’area vi sono rifiuti da classificare. Nello stesso anno viene rimossa la copertura di amianto, e l’Asl chiede ancora al liquidatore una caratterizzazione dei rifiuti presenti.
Nel marzo del 2017 ci pensiamo noi de IlNovese e di Novionline a riportare all’attenzione il tema della bonifica dell’area, sollecitati dai residenti. Pubblichiamo foto che dimostrano le situazione di degrado all’interno dell’area. Quindici giorni dopo ci scrive il curatore fallimentare Sanzo, che di dice che la bonifica è in corso e che in particolare si sta procedendo alla caratterizzazione dei rifiuti e delle sostanze presenti nell’area (degli esiti di questa caratterizzazione leggete in pagina).
Un mese fa scoppia un’altra bomba mediatica: saltano fuori intercettazioni risalenti al 2011 (inchiesta Alchemia su infiltrazione ‘ndrangheta in basso piemonte) che dimostrano una trattativa da parte del gruppo Dalton per “disfarsi” al prezzo simbolico di un euro della ex fabbrica, e l’interessamento all’affare da parte della cosca Gullace. Dalle intercettazioni salta fuori anche la minaccia di far sapere al sindaco di Arquata dove sarebbero state sotterrate sostanze pericolose.
Finalmente – lasciatecelo dire – si muove anche la politica: il consigliere regionale Mdp Walter Ottria porta il caso all’attenzione della giunta regionale.
Un residente presenta un esposto e indica il punto in cui ha visto effettuare dei lavori e gettare materiale. Nel corso del sopralluogo vengono alla luce parti di vetroresina appartenenti ad un serbatoio e fibre vetrose, ma non i famosi fusti tossici.
Intanto, nel luglio scorso viene consegnata al Comune la caratterizzazione fatta fare dall’avvocato Sanzo che attesta la presenza di sostanze tossiche, nocive, cangerogene all’interno dell’area.
Uno studio che non era stato ancora divulgato e da cui emerge una situazione davvero preoccupante, di cui abbiamo potuto prendere visione e di cui vi diamo conto di seguito.
La classificazione delle sostanze pericolose viene indicata con un codice chiamato HP (Hazard and Precautionary, indicazioni di pericolo e precauzione) che va da 1 a 15. I campioni analizzati sono stati classificati con questo sistema e per ogni campione viene indicato se è pericoloso, e quale è la pericolosità.
Su 43 campionamenti di materiale prelevato, 19 sono stati classificati come pericolosi. Sostanze tossiche, nocive, irritanti, ecotossiche, cangerogene, come vedete dalla tabella in pagina. Senza aver bisogno di scavare, gli addetti ai prelievi hanno repertato dalla superficie del piazzale, dai forni e dalle attrezzature dismesse, dagli scaffali arrugginiti, una quantità di sostanze pericolose per la salute e l’ambiente, abbandonate all’interno dei 20 mila metri quadrati della ex fabbrica.
La perizia di cui siamo entrati in possesso e di cui vi diamo conto è stata chiesta dal Comune di Arquata e fatta redarre dal curatore fallimentare della ex Ics, Salvatore Sanzo, e consegnata al richiedente nel luglio scorso.
Si tratta della riprova che all’interno della fabbrica Ics, come stabilito anche da sentenze del tribunale, esiste inquinamento ed una situazione di pericolo, dovuto all’abbandono delle sostanze, nella maggior parte dei casi esposte agli agenti atmosferici. Ricordiamo che la sede della fabbrica è circondata su tre lati da case e dal restante dà sul fiume.
Il problema non è solo legato alla presenza di queste sostanze, ma al loro stato: non sono custodite, sono esposte agli agenti atmosferici, e la presenza anche di cisterne con residui di combustibile aumenta il rischio di un possibile incendio che potrebbe disperdere in atmosfera queste sostanze. Il tutto, al centro di una zona densamente abitata.
Quindi, ad Arquata Scrivia mercoledì scorso presso l’ex stabilimento della subalpina si è fatto un buco per terra, per cercare rifiuti tossici interrati di nascosto. Pare che non si sia trovato nulla e c’è stato chi ha pure cantato vittoria, accusando i giornali come il nostro di creare allarmismo. Intanto, però, è saltata fuori l’attesa caratterizzazione fatta fare dal curatore fallimentare delle sostanze presenti in superficie, di cui vi diamo dettaglio nelle pagine interne. Una caratterizzazione che mette nero su bianco la presenza di sostanze cangerogene, tossiche e irritanti disperse sul piazzale e nei capannoni dello stabilimento in abbandono da quasi 10 anni. Si è andati a cercare sottoterra quello che era lì davanti a tutti, e ben si sapeva. Bene hanno fatto, intendiamoci, a cercare di verificare quanto emerso dalle intercettazioni dell’indagine Alchemia sulle infiltrazioni della ’ndrangheta nel basso piemonte. Ma non trovare con la ruspa quello che è abbandonato sul piazzale, non può essere una buona notizia.
Non ci stuferemo di ripeterlo fino a quando la situazione sarà questa: a Serravalle abbiamo ancora tutta la porcheria dell’Ecolibarna, in un sito che è attraversato da un rio che si getta nella Scrivia. A Capriata, i fusti della Pedaggera sono ancora lì a pochi metri dall’Orba, così come a Carbonara ci sono ancora fusti nei pressi della Scrivia abbandonati da Ecolibarna dagli anni ‘80. Ad Arquata, la discarica storica della Subalpina è lì a far da sponda al fiume. Mettere la testa sottoterra come gli struzzi per non vedere il problema non serve a nulla.