Una Regina a Tortona: Cristina di Danimarca
Una principessa di sangue reale (anzi, imperiale), per due volte duchessa e quasi regina, per dodici anni Signora di Tortona: grazie a Italo Cammarata, che ce lha fatta conoscere, possiamo intervistarla
Una principessa di sangue reale (anzi, imperiale), per due volte duchessa e quasi regina, per dodici anni Signora di Tortona: grazie a Italo Cammarata, che ce lha fatta conoscere, possiamo intervistarla
“Cristina” all’italiana, “Cristierna” alla danese, “Chrestienne” alla francese: come posso chiamarvi?
“Vostra Maestà” andrà benissimo.
“Vostra Maestà” è perfetto per la figlia di Cristiano II re di Danimarca e di Isabella d’Asburgo, sorella di Carlo V imperatore. Da dove arrivano i vostri legami con Tortona?
Ricevetti questa città da Francesco II Sforza duca di Milano, secondogenito di Lodovico il Moro e mio primo marito, a garanzia della mia dote. Quando lo sposai nel 1533 avevo 12 anni, e lui 38: un matrimonio voluto Carlo V, mio zio, per legare la Lombardia agli Asburgo contrastando le pretese francesi su questo stato-chiave per gli equilibri italiani.
Un matrimonio combinato.
Sì, e purtroppo breve: Francesco morì nel 1535, e Carlo V si prese il Ducato. Io ebbi diverse proposte, tra cui quella di Enrico VIII d’Inghilterra: nel 1538 mandò un pittore a Bruxelles, dove abitavo, per farmi un ritratto.
Quello a figura intera, in abito vedovile? Hans Holbein il Giovane vi ha raffigurata di fronte, per nascondere il mento e il labbro prominenti, tipico degli Asburgo…
Come vi permettete?
Domando scusa.
Ad ogni modo, fare la fine delle altre mogli di Enrico VIII non mi attirava certo. Mi salvai perché i Tudor miravano tramite me al trono di Danimarca: non potendo ottenerlo, il re comunicò a Benedetto Corte, mio insegnante di italiano e segretario personale, la fine della trattativa. Ma Carlo V aveva già un altro marito pronto per me: Francesco Duca di Lorena.
Un coetaneo, finalmente?
Approfittando della mia posizione e delle mie parentele diedi un contributo importante alle trattative che portarono nel 1559 alla pace di Cateau-Cambrésis tra Francia e Asburgo di Spagna e dell’Impero.
E Tortona?
Non mi dimenticai mai della città, anche perché ogni anno mi versava un’abbondante rendita in denaro. Per questo, nel 1578, quando decisi di visitare l’Italia, alla fine del tour mi fermai a Tortona, per sempre. Alloggiai prima nell’ex-Abbazia di Rivalta, che il nobile milanese Gabriele Carcassola aveva trasformato in propria residenza, e poi nel Palazzo del Comune, dal quale “sfrattai” il consiglio cittadino: lì abitai fino alla morte, nel 1590.
E come la presero?
I nobili si divisero tra filo-asburgici, a me favorevoli (che, sfruttando la mia posizione e le mie parentele, ricompensai con carriere in ambito internazionale), e filo-francesi, che mi tolleravano appena. Il ceto medio e il popolo mi apprezzarono perché avevo fatto fare passi avanti alla città nell’economia e nell’arte. Inaugurai, avendolo finanziato per bene, il nuovo Duomo di Tortona, costruito in forme rinascimentali prendendo spunto da Santa Croce di Bosco Marengo, progettata dal Vasari. Feci arrivare a Tortona Camillo Procaccini, pittore bolognese che realizzò diverse opere in città e, così facendo, svecchiai la cultura artistica tortonese che, prima di me, di rinascimentale aveva ben poco.
(nella foto l’Abbazzia di Rivalta, prima dimora della regina)