“Nel cellulare e nel computer di Lara le immagini inneggianti all’Isis”
All'udienza del processo in Corte d'Assise contro Lara Bombinati, la ragazza di Garbagna accusata di terrorismo internazionale, gli investigatori della Digos ricostruiscono le fasi delle indagini che hanno portato all'arresto della donna: dalla rete di contatti tramite chat ai documenti scaricati sul computer. Secondo gli investigatori, stava cercando marito per poter tornare il Siria
All'udienza del processo in Corte d'Assise contro Lara Bombinati, la ragazza di Garbagna accusata di terrorismo internazionale, gli investigatori della Digos ricostruiscono le fasi delle indagini che hanno portato all'arresto della donna: dalla rete di contatti tramite chat ai documenti scaricati sul computer. Secondo gli investigatori, stava cercando marito per poter tornare il Siria
Lara Bombonati è stata però fermata dagli agenti della questura di Alessandria poco prima della sua partenza, verso il Belgio, nel giugno del 2017, mentre si trovava a Tortona.
Gli investigatori, in aula, hanno ricostruito il quadro delle relazioni della giovane donna e del marito, Francesco Cascio, siciliano, anch’egli convertito all’Islam, insieme a Lara.
Di Cascio si perdono le tracce tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017, quando dalla Turchia, dove si era trasferito con la moglie, apparentemente per motivi di lavoro, si reca in Siria.
Dalla Siria Lara Bombonati tornerà da sola, attraverso la Turchia dove, però, viene fermata alla frontiera con un passaporto siriano falso.
“Non devi parlare con nessuno, ti veniamo a prendere”, sarebbe uno dei messaggi trovati dagli investigatori sul cellulare della donna, dopo l’arresto in Italia.
L’inizio delle indagini
Ieri, in aula, gli agenti della Digos hanno ripercorso le tappe dell’indagine, partite nell’ottobre 2016, quando la sorella gemella, Valentina, denuncia alla polizia la scomparsa della ragazza, della quale aveva perso le tracce. In quel momento né Lara né il marito risultano ancora sospettati.
Tra l’ottobre 2016 e il gennaio 2017, le utenze telefoniche della giovane donna risultano non raggiungibili. Sarà lei a contattare la sorella, in Italia,utilizzando il numero di un centro di detenzione in Turchia. E, dal quel momento il quadro, secondo gli inquirenti, inizia a prendere forma.
Attraverso intercettazione telematiche gli investigatori ricostruiscono quella che, secondo l’ipotesi dell’accusa, è una rete di contatti tra aderenti ad una organizzazione riconducibile ad Al Qaeda, Hayat Tarhir Al Sham.
Tracce dei contatti vengono trovati sul telefono di Lara, esaminato al suo arrivo a Malpensa e sequestrato dopo l’arresto; nel pc della sorella, che Lara avrebbe utilizzato durante la sua permanenza in Italia, dopo il rientro; nel vecchio computer che aveva a casa del padre e che restò spento dal 2014 fino al suo ritorno, nel 2017. Ci sarebbero fotografie e documenti che inneggiano alla battaglia dell’Islam, alcuni di vecchia data.
I contatti con gli italiani converti all’Islam
Secondo gli investigatori Francesco, marito di Lara, era in contatto da tempo il gruppo di italiani convertiti, da Giuliano Del Nevo (considerato il primo foreign fightes, morto nel 2013 a Damasco), ad Andrea “Umar” Lazzaro e Filippo Randazzo. Dai movimenti delle carte di credito di Cascio risulta come il pagamento biglietti aerei dello stesso Cascio con Randazzo e Lazzaro per il trasferimento in Turchia (Cascio partirà nel luglio 2014, Lara lo raggiungerà ad ottobre) erano transitati sulla carta di Francesco. Un mese prima i tre, insieme ad un altro italiano, erano stati a Birmingham e, in quel caso, il pagamento dei biglietti transitò sulla carta di credito intestata a Lara Bombonati.
Parte della documentazione, relativamente al periodo turco, tra cui il passaporto ritenuto falso, è oggetto di una rogatoria internazionale e non è ancora a disposizione degli investigatori italiani.
Dopo l’esplusione dalla Turchia, Lara era provata e malata, aveva raccontato la sorella durante la prima udienza del processo.
Il ritorno “obbligato” in Italia
Ma fin dal primo giorno del suo ritorno “obbligato” in Italia, Lara avrebbe tentato di riprendere i contatti con gli jiahadisti, tramite i social network e, in particolare tramite Telegraf, un sistema di messaggistica simile a whatapp, con un algerino che viene indicato come un “combattente” di Hayat Tarhir Al Sham.
Sul cellulare della ragazza, esaminato al suo arrivo all’aeroporto, ci sono solo sette numeri, sei dei quali appartenenti ai familiari ed un settimo all’algerino. Dalle intercettazioni ambientali e dai colloqui che Lara ha, poi, con la suocera, la madre di Francesco, emerge come il marito sia probabilmente rimasto ucciso in Siria.
Lara quindi, non può più tornare in Siria poichè, hanno spiegato gli investigatori Digos, ad una donna non è permesso recarsi in territorio di guerra se non accompagnata da un uomo.
Ecco perchè – sostengono sempre gli inquirenti – stava cercando un nuovo marito, per essere accompagnata nuovamente nelle terre dei combattimenti. Aveva infatti conosciuto tramite facebook un uomo residente in Belgio ed era pronta a raggiungerlo. Prima della presunta partenza, Lara viene arrestata dagli agenti della Digos. Il belga, tuttavia, non risulta esserci segnalazioni di coinvolgimento nelle fila terroristiche.
La tesi investigativa ed accusatoria è respinta dall’avvocato Lorenzo Repetti che sostiene, invece, come la ragazza abbia agito per compiacere il marito, al quale era profondamente legata, ma non è coinvolta in prima persona in organizzazioni terroristiche.
(nella foto a sinsitra in alto l’aula di Corte di Assise di Alessandria; in basso a destra foto generica)