Quel virus spaventoso che non scorre nelle vene
Negli ultimi giorni il virus più pericoloso è circolato in rete e non di certo in vena. L’incapacità di tutti noi di comprendere appieno l’entità reale del coronavirus ci ha gettato nel panico.
Quei pochi che hanno cercato conforto nella comunità scientifica si sono trovati davanti a due pensieri in antitesi: chi l’ha definita, numeri alla mano, qualcosa in più di una banale influenza e chi, invece, ha suggerito di ricorrere al più presto a piani pandemici.
Senza un faro scientifico da seguire, ci siamo persi in questa lunga notte scegliendo di affidare le nostre paure all’istinto che, a sua volta, le ha subappaltate ai social.
Siamo corsi al supermercato per fare scorte di tutto, dai disinfettanti al cibo per animali, dall’acqua ai surgelati. Abbiamo preso una posizione pubblica e l’abbiamo difesa di pancia, senza provare a osservare il quadro nel suo insieme; senza aspettare l’evoluzione dei fatti; senza raccogliere tutti i pezzi della storia.
Noi dell’informazione compresi, beninteso, che avremmo dovuto dare alla razionalità ciò che invece abbiamo dato all’emozione. In provincia di Alessandria sono stati sei, negli ultimi tre giorni, i casi sospetti di coronavirus. Nessuno di questi, fortunatamente, è poi stato confermato.
Ma questo “fatto-non fatto” ha messo in evidenza molte carenze che ci avrebbero colto impreparati se quel virus fosse uscito veramente dalla rete. L’assenza di una voce unica, preposta e autorevole, che comunicasse a tutti noi lo stato dei fatti, è forse la mancanza più grave.
Gli ospedali, le forze dell’ordine, la protezione civile, i comuni, le istituzioni superiori: ognuno ha agito e parlato per sé. E nel conto c’è da mettere anche chi, tra l’altro, ha visto nella mediaticità del momento l’occasione irrinunciabile per farsi un po’ di pubblicità a buon mercato (alzi la mano chi non ha visto un video del politico di turno che discetta di coronavirus…).
Così, ai dubbi si sono sommate voci e dicerie. E la trasparenza di un fatto come tanti altri – un possibile contagio da coronavirus, non l’ebola – si è trasformato nella più torbida delle notizie. Impossibile orientarsi con certezza, impossibile trovare un appiglio di sicurezza.
Il risultato? Nell’Alessandrino non è successo nulla al di fuori dei sei casi sospetti poi smentiti. Immaginate cosa sarebbe potuto accadere se, per davvero, quel virus fosse passato dalle tastiere dei nostri smartphone ai polpastrelli delle nostre dita per poi salire più su, verso le vie respiratorie…