I conti della serva e il valore della vita
ALESSANDRIA – Se potessimo essere seduti al tavolino di un bar, con la gente che va e che viene, potremmo fare dei conti della serva per raccontare questa situazione surreale. Perché noi della strada, abituati a far di conto tutti i giorni, quei numeri ufficiali non riusciamo proprio a farli tornare.
Parliamo di calcio…
Il primo conto della serva potremmo farlo prendendo a campione la Serie A di calcio, in fondo siamo in un bar…
Fino a qualche giorno fa erano cinque i giocatori positivi al coronavirus. Cinque su cinquecento atleti che militano nella massima serie. Un ambiente protetto, composto da persone in ottima salute e costantemente sottoposte a controlli: non proprio la “normalità”, insomma. Cinque su cinquecento, dicevamo. Il che equivale a dieci su mille; un caso positivo ogni cento persone. Se applicassimo questo rapporto alla popolazione italiana, composta da circa 60 milioni di individui, i positivi dovrebbero aggirarsi intorno ai 600mila.
Oggi, invece, ufficialmente, siamo intorno ai 30mila. I decessi, di conseguenza – mantenendo la proporzione del 7% come mostrano i dati della Protezione Civile – dovrebbero aggirarsi intorno ai 40mila. Ma come detto, questo è un conto della serva, con numeri presi un po’ qui e un po’ là: il contagio – per fortuna! – non segue logiche esclusivamente matematiche e il campione dei giocatori della Serie A non è per nulla rappresentativo; non fosse altro che il calcio, per l’appunto, è uno sport dove il contatto è presente in maniera superiore a molti altri stili di vita.
…poi di Alessandria
Allora potremmo fare un altro conto della serva, tanto saremmo qui, in questo bar che oggi, invece, è chiuso. La provincia di Alessandria ufficialmente ha circa 400 casi di positività al Covid 19 e una 60ina di decessi. Eppure, se qualcuno volesse ricostruire una mappa dei contagi e dei morti, allo stato attuale, non ne sarebbe capace. Gli ospedali, attraverso le loro fonti ufficiali, non comunicano il numero preciso e aggiornato, né degli uni (i contagiati) né degli altri (i deceduti). Ciò che possiamo fare è provare a chiedere qualche informazione in più al personale medico e sanitario che, in quegli ospedali, ci lavora ininterrottamente.
Raccogliendo le loro testimonianze, in ordine di grandezza, il solo nosocomio di Alessandria avrebbe più di un terzo dei ricoverati. A questo andrebbero sommati i numeri degli altri sei presidi sanitari e di coloro che, non essendosi aggravati, sono stati lasciati nelle loro abitazioni. Il dato, così facendo, supererebbe ampiamente quello ufficiale.
Ma anche qui è giusto ricordare che si tratta di un conto della serva: i medici sono stanchi, gli infermieri stravolti. Inoltre, i sanitari potrebbero non avere la visione d’insieme – ammesso che qualcuno l’abbia per davvero – e dunque potrebbero comunicare dati sbagliati. Per di più, un dirigente delle istituzioni, qualche giorno fa, in confidenza, ha pure detto che l’amplificazione del caso potrebbe essere una mossa sindacale…
A questo quadro andrebbero poi aggiunti gli asintomatici che amplificano il contagio in modo silente e involontario: insomma, l’abbiamo detto, sarebbe proprio un conto della serva che aiuterebbe solo a far passare il tempo tra un bicchiere di bianco e l’altro.
Complottisti da aperitivo
E poi, per quale ragione le istituzioni non dovrebbero comunicare per davvero il numero dei contagiati o dei deceduti? Solo perché hanno il timore che si crei più panico di quello che già non si percepisce tra gli avventori di questo bar con la saracinesca abbassata? Qui, autorevoli esponenti della briscola in cinque, dicono che tutto questo non regge. Dicono che è dietrologia spiccia; complottismo che nemmeno in questo bar è accettabile. Piuttosto, tra questi tavolini, gira un’altra voce. Non si sa chi l’abbia riferita, ma pare che le fonti ufficiali non diano i numeri esatti del contagio per non far emergere un’altra preoccupante situazione: la capacità del Sistema Sanitario Nazionale di attutire questa emergenza.
Gli infetti, stando ai conti della serva, sarebbero già ora in numero ben superiore rispetto a quello di cui può farsi carico la Sanità nazionale. “Cosa significa questo?”, potrebbe chiedere qualcuno se “qualcuno” ci fosse in questo locale. Questo, significherebbe che i rianimatori potrebbero trovarsi nella condizione di dover scegliere se curare un paziente piuttosto che un altro. Meglio provare a salvare chi è più giovane e in forze rispetto a chi ha meno speranze di sopravvivere…
Nel bar, a questo punto, calerebbe il silenzio. Un silenzio ancor più cupo di quello che già non ammanta tutto quanto ora. Perché nei bar, se non per il barista, la fredda matematica è una materia poco apprezzata. Qui si penserebbe subito a chi verrebbe lasciato indietro; a quei più deboli che sono stati figli, madri, padri, nonni, innamorati. Avventori di un bar qualsiasi, in sostanza.
Ma per fortuna, come detto all’inizio, questi sono solo conti della serva e pensieri di un malinconico annoiato che se ne sta qui, in un bar che non c’è e che per di più è pure chiuso. “Andrà tutto bene”, dicono tutti così.