Peter Sellers: una comicità dai mille volti
"Sono come un microfono. Da solo non ho suono. Catturo ciò che mi circonda"
CINEMA – Quarant’anni senza Peter Sellers: il geniale attore inglese (all’anagrafe Richard Henry Sellers) è scomparso a soli 54 anni, per un infarto, il 24 luglio 1980, ma la verve comica e l’autoironia che ha trasfuso negli innumerevoli personaggi interpretati in trent’anni di fulminante carriera appartengono in maniera indelebile alla storia della settima arte.
A riprova del fatto che molto spesso dietro la maschera della comicità si celano le lacrime e il dramma, le biografie di Sellers, sia cinematografiche che letterarie (dal film di Stephen Hopkins Tu chiamami Peter, 2004, a In arte Peter Sellers di Andrea Ciaffaroni, 2018), ci restituiscono il ritratto di un uomo e di un artista poliedrico ma tormentato, malinconico e depresso, disperso nei mille volti dei tipi umani da lui incarnati: «Se mi chiedessero di interpretare me stesso non saprei cosa fare. Io non so chi o cosa sono», amava ripetere.
Ben note sono anche le vicissitudini della sua vita al di fuori del grande schermo, tra la predilezione per l’alcol, quattro matrimoni e una passione irrisolta per Sophia Loren, che conobbe nel 1960 sul set di La miliardaria di Anthony Asquith, come ricorda anche Claudia Cardinale, sua partner ne La Pantera Rosa di Blake Edwars: «Quando l’ho conosciuto, credo che lui fosse pazzamente innamorato di Sophia Loren, e pazzamente infelice. Sta di fatto che era tristissimo: non riusciva a godere né del suo successo, né del suo potere, né della qualità della vita che il successo e il potere gli consentivano. Finiva di lavorare, e spariva, in macchina: sempre da solo».
Correva voce, proprio negli anni del suo massimo successo, che Sellers avesse anche un brutto carattere, a complicare i rapporti di collaborazione con i registi sul set: non erano un mistero per nessuno, ad esempio, gli screzi sorti fra l’attore e lo stesso Edwards, nonostante il loro sodalizio nel ciclo della Pantera Rosa avesse reso possibile la creazione dell’amatissimo personaggio dell’ispettore Clouseau.
Del resto, a indicare le contraddizioni ma anche l’umorismo corrosivo di Sellers, fa fede l’espressa volontà di accompagnare il suo funerale con le note della canzone In the mood di Glenn Miller, che cordialmente detestava giudicandola – a detta del suo biografo Roger Lewis “meravigliosamente inappropriata per occasioni solenni”.
Peter Sellers (il nome che usa per il cinema è, in realtà, quello del fratello morto prima della sua nascita) vede la luce nella regione inglese dell’Hampshire l’8 settembre 1925: il padre è un musicista protestante, la madre, ebrea, un’attrice di varietà, arte che pratica spesso insieme al marito.
Il giovane Peter si rivela un talento precoce, imparando a ballare, a suonare la batteria e l’ukulele: è particolarmente versato nelle imitazioni, che continua a proporre anche dopo essersi arruolato nella Raf, l’aeronautica britannica, divenendo caporale. Grazie a questa capacità nel 1943 viene destinato all’intrattenimento dei soldati al fronte, in un reparto speciale chiamato The Gang Show: alla fine della guerra, dopo qualche esperienza teatrale e come cabarettista in radio, Sellers approda al Goon Show, varietà radiofonico in onda dal 1951 al 1960, che – partito con un’audience di trecentomila spettatori – ne conquista in ultimo ben sette milioni. L’esperienza bellica gli risulterà utile anni più tardi, nel 1964, per il film di Stanley Kubrick Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba, in cui – oltre allo scienziato ex nazista naturalizzato americano dott. Stranamore e al presidente degli Stati Uniti Merkin Muffley – interpreta anche il ruolo dell’ufficiale della Royal Air Force Lionel Mandrake.
Al cinema Sellers approda nei primi anni Cinquanta, facendosi notare nei panni dell’impacciato malvivente Harry – sotto le mentite spoglie del fantomatico signor Robinson – ne La signora omicidi di Alexander Mackendrick (1955); il salto di qualità avviene grazie all’incontro con Kubrick, che prima di lasciargli quasi del tutto carta bianca sul set de Il dottor Stranamore (atteggiamento del tutto inconsueto per il pignolo cineasta americano), gli affida il ruolo dell’ambiguo commediografo Clare Quilty in Lolita (1962).
Il 1963 è l’anno in cui Sellers viene chiamato da Blake Edwards a rivestire il ruolo dell’ispettore Clouseau nel già citato primo film della serie dedicata alla Pantera Rosa, per colmare la defezione di Peter Ustinov: nonostante le ripetute divergenze tra i due, anche il successivo Uno sparo nel buio (1964) riscuote uno straordinario successo, per via della caratterizzazione del personaggio di Clouseau, detective goffamente atipico.
Purtroppo non va in porto il progetto di un terzo film del ciclo, ma tra la metà e la fine degli anni Settanta Edwards e Sellers gireranno tre nuovi episodi, La Pantera Rosa colpisce ancora (1975), La Pantera Rosa sfida l’ispettore Clouseau (1976) e La vendetta della Pantera Rosa (1978).
L’altra punta di diamante della relazione artistica Edwards-Sellers è rappresentata da Hollywood Party (1968), una delle massime espressioni della comicità mondiale, in cui l’attore introduce una sorta di suo alter ego capovolto, con il personaggio di Hrundi V. Bakshi, ingenua, gentile e imbranata comparsa di origini indiane al lavoro a Hollywood. In un film che è un omaggio ma anche un’arguta parodia del mondo del cinema, Sellers attinge ancora una volta alle sue reminiscenze belliche e al periodo trascorso in India per dare vita a un tipo comico di grande impatto, destinato a rimanere nella memoria degli spettatori.
La possibilità di sperimentare un personaggio alternativo rispetto a quelli solitamente interpretati da Sellers si manifesta nel 1971, quando l’attore – innamoratosi della storia raccontata nel romanzo dello scrittore polacco Jerzy Kosinski Being There (Presenze nella versione italiana, risalente al 1973) e del suo protagonista – si adopera per una trasposizione cinematografica. Oltre il giardino, per la regia di Hal Ashby, esce sul grande schermo solo nel 1979, e Peter Sellers nel suo penultimo film (l’ultimo, l’anno seguente, sarà la commedia Il diabolico complotto del Dr. Fu Manchu di Piers Haggard) viene candidato all’Oscar per la sua sensibile e malinconica interpretazione del giardiniere Chance. Il ruolo lo assorbe profondamente, anche fuori scena, in una simbiosi totale tra il corpo dell’attore e quello del personaggio.
Una sintesi rara, autentica spersonalizzazione che riesce solo ai grandi interpreti, ribadita da Sellers nel corso di un’intervista con Oriana Fallaci, nel 1964: «Ho mille volti e nessuno di questi è mio: tutti appartengono a un personaggio interpretato da me».