Val Borbera, la disperazione dei ristoratori: «Così non possiamo continuare»
«L'asporto è solo una toppa. Gli alberghi possono rimanere aperti ma la gente può andare solo all'estero: una presa in giro»
VAL BORBERA — È un grido di disperazione quello lanciato dagli albergatori della val Borbera, riuniti nell’associazione presieduta da Michele Negruzzo.
«È trascorsa ancora una Pasqua in zona rossa e con le nostre attività chiuse. È passato un anno da quando abbiamo pensato “che disastro, ci giochiamo la Pasqua, il lunedì dell’Angelo, il 25 aprile, il 1° maggio, ci giochiamo tutte quelle giornate che ci risollevano dal lungo inverno, ma va bene, se questo sacrificio serve per salvarci e uscire da questo incubo, ben venga” e ora siamo ancora qui, come lo scorso anno, anzi peggio, perché ci siamo giocati anche il Natale, il Capodanno e nel frattempo poco o nulla è cambiato».
I ristoratori sono allo stremo e rivendicano che oggi sarebbe possibile lavorare in sicurezza. «Solo prenotazioni, riduzione dei posti a sedere, distanziamento, mascherina, preferenza al servizio esterno ove possibile, misurare la temperatura all’ingresso», sono le soluzioni percorribili.
L’asporto, al contrario, viene considerato «solo una toppa» e anche se agli alberghi è consentito restare aperti, «di fatto sono chiusi perché siamo in zona rossa e non ci si può spostare». In Italia, perché all’estero si può andare «e questa è una presa in giro». Inoltre, intorno al settore della ristorazione, gravitano tante attività: «Vignaioli, contadini, casari, macellai e salumieri dai quali ci riforniamo delle tipicità territoriali che facciamo conoscere ai clienti».
«Siamo stanchi delle parole e dei proclami ai quali non seguono i fatti. Chiediamo di tornare a lavorare in sicurezza e ora lo gridiamo a squarciagola. Il tempo delle parole è ormai finito», conclude Michele Negruzzo a nome degli albergatori e dei ristoratori delle valli Borbera e Spinti.