Personaggi del cattolicesimo valenzano
Un nuovo approfondimento del professor Maggiora
VALENZA – “Che il cuore delle genti di stirpe valenzana sia fatto di carità cristiana, lo testimoniano i suoi monumenti e le sue opere di benevolenza”, così recita una poesia del socialista Paolo De Michelis, in cui il riferimento alla “stirpe valenzana” rimane intrinsecamente legato all’eredità cristiana di questa piccola e benestante città.
Eppure, nel corso dell’Ottocento, Valenza conobbe anche periodi di profonda miseria e carestia. Nelle filande cittadine, ragazzi appena adolescenti erano sfruttati per oltre quattordici ore al giorno, contribuendo così all’arricchimento delle classi padronali prive di scrupoli e acuendo la disperazione del popolo, che in parte si rifugiò nel socialismo massimalista e anticlericale, attingendo al profilo più brillante e rivoluzionario del marxismo.
Di fronte a questa situazione e tanta confusione in materia, la Chiesa, guidata dall’enciclica “Rerum Novarum” e dalla nuova dottrina sociale, inviò in questa zona alcuni dei suoi uomini migliori, con l’intento di contrastare le spinte anti-religiose di laicité giacobina- volterriana e promuovere un riscatto sociale fondato sui valori cristiani e sul carisma divino. Tra questi, figura di spicco fu certamente monsignor Giuseppe Pagella, parroco di Valenza dal 1896 al 1925.
Uomo di elevata cultura teologica e sociale con il culto della buona creanza, Giuseppe Pagella (1865-1925) ebbe l’intuizione di istituire gli oratori giovanili, veri e propri centri di promozione umana e spirituale, in grado di offrire alle classi popolari un’alternativa concreta alle tentazioni del massimalismo ateo (quello di Valenza venne inaugurato il 5 maggio 1906, quello femminile fu fondato nel 1909). Egli, parroco del duomo valenzano, aveva la santa ambizione che Valenza fosse all’avanguardia, quasi l’espressione di un altro mondo e di un altro secolo. Per nulla timoroso, gettò i primi postulati per un’azione politica locale dei cattolici, quasi anticipando il nuovo clima creato dal patto Gentiloni nelle elezioni del 1913.
In questo modo, la Chiesa cercò di riaffermare il suo ruolo centrale nella vita della comunità valenzana, contrastando le forze del socialismo e riproponendo il messaggio di carità e solidarietà cristiana che, secondo la poesia di De Michelis, sarebbe stato da sempre inscritto nel cuore della “stirpe valenzana”.
Questo è testimoniato dalla partecipazione di valenzani a ruoli dirigenziali nelle associazioni cattoliche della diocesi negli anni ’10 e ’20 del Novecento. Il 19 gennaio 1912, all’oratorio, veniva fondato il Circolo giovanile di Azione Cattolica, e nel gennaio del 1915 il maestro valenzano Alfredo Cellerino diventava presidente diocesano, succedendo all’avvocato Carlo Torriani.
Negli anni a seguire, l’impegno dei valenzani nella vita ecclesiale e sociale continuò a intensificarsi. Nel 1921, il valenzano Pietro Staurino ricopriva il ruolo di vicepresidente diocesano, mentre dal settembre 1922 un altro cittadino di Valenza, il ragioniere Luigi Lombardi, ne assumeva la presidenza. Valenza dimostrava così di essere un centro di vivace presenza cristiana, capace di coniugare fede, carità e impegno sociale per il bene della comunità.
Il Congresso eucaristico a Valenza nel luglio 1923 rappresentò un momento di grande importanza per la vita della Chiesa cattolica. Ma oltre a questo importante evento liturgico, la città di Valenza fu anche teatro di numerose altre iniziative e attività promosse dai cattolici in quegli anni. Convegni laicali, dibattiti, atti di coraggio nel confrontarsi e talvolta scontrarsi, settimane sociali, una vivace attività associativa: questo era il fermento che animava la comunità cattolica locale la cui parte politica era parte inesorabile di ogni battaglia.
Il fascismo non vide di buon occhio questo vivace panorama di iniziative e attività promosse, soprattutto, dai cattolici più benestanti. Lo spirito e gli scopi dell’Azione Cattolica erano in netto contrasto con l’ideologia del regime fascista. Anche il settimanale diocesano, con il suo direttore Torriani, non esitò a prendere posizione, suscitando l’ira del gerarca fascista Torre, che non esitò a prendere provvedimenti nei suoi confronti. Qualche anno dopo, altri esponenti di spicco della comunità cattolica locale, come Luigi Manfredi e Luigi Deambroggi, subirono le “carezze” delle camicie nere, a testimonianza della durezza con cui il fascismo reprimeva ogni forma di dissenso.
Nella notte tra il 29 e il 30 maggio 1931, la polizia e i carabinieri furono mobilitati in tutta Italia per chiudere le sedi dell’Azione Cattolica. A Valenza, con modalità molto drastiche e frettolose, al presidente Luigi Deambroggi fu intimato di chiudere la sede dell’oratorio, consegnare i documenti e subire le relative diffide, proprio mentre i cattolici valenzani stavano commemorando il centenario mariano di Efeso e il 25° degli Oratori. Il giorno successivo, Papa Pio XI reagì con forza a queste misure repressive, dichiarando: “Si può domandarci la vita ma non il silenzio, mentre si fa scempio di quello che forma la predilezione notissima del nostro cuore, con una tempesta di invasioni, occupazioni, sequestri, manomissioni”.
Luigi Deambroggi (1909-1984) fu un cattolico esemplare, formato alla scuola dell’Azione Cattolica, improntata ai valori di “preghiera, azione, sacrificio e studio”. La scarsa salute non solo non riuscì a minare le basi economiche della sua famiglia, ma anzi divenne per lui l’occasione per costruirsi un invidiabile patrimonio di cultura storica e sociopolitica. Ebbe così modo di conoscere gli insegnamenti di Sturzo e di approfondire le vicende del modernismo, corrente teologica e filosofica tanto discussa all’epoca.
Animato da un profondo spirito di servizio, si dedicò con passione all’associazionismo cattolico, lavorando instancabilmente per organizzare attività ed eventi rivolti ai ragazzi e ai giovani. Le sue lezioni “attivizzate”, ispirate ai metodi pedagogici innovativi della scuola di Nosengo, erano particolarmente avvincenti e riuscivano a catturare l’attenzione e l’entusiasmo del suo pubblico. Grazie a questo impegno appassionato, seppe farsi promotore di un rinnovato impegno catechistico, diventando un punto di riferimento per l’intera comunità. La sua dedizione e le sue capacità gli permisero di diventare una figura influente e rispettata, capace di tessere relazioni con personaggi di spicco del mondo ecclesiale e politico del tempo. Questo gli consentì di ampliare ulteriormente i suoi orizzonti culturali e di arricchire il suo bagaglio di conoscenze, sempre messo a disposizione della comunità per contribuire allo sviluppo sociale e morale del territorio.
Seguiva i suoi alunni ad uno ad uno come un compagno di scuola e quando coglieva sintomi di crisi ne visitava le famiglie per concordare i comportamenti più opportuni. Fondatore della D.C. valenzana, consigliere comunale, amministratore della Casa di Riposo, sempre in stile di rispetto con tutti che gli otteneva la stima di tutti. Sempre pronto, nella massima discrezione, all’aiuto di amici in difficoltà e al sostegno di ogni buona iniziativa. Per Deambroggi, come per i più significativi esponenti del movimento cattolico valenzano, il servizio, l’umiltà erano virtù. Per loro non era necessario un “corso accelerato di formazione politica” perché realizzavano sempre gli insegnamenti del Cristianesimo.
Personaggi importanti furono anche Giuseppe Bonelli, un limpido operaio che contribuì alla fondazione e alla vita della biblioteca “Silvio Pellico” nell’ambito del movimento culturale cristiano, e donne integre e tenaci come Erminia Testera e Adelina Stanchi, che per decenni si sono dedicate alla promozione della buona stampa e dei giornali e settimanali cattolici, in modo discreto senza farsene un vanto.
Uno straordinario prevosto locale, parroco del duomo dopo Pagella, è stato monsignor Giovanni Grassi (1880-1966). Durante la guerra, partecipò attivamente a salvare e sostenere chi si trovava in difficoltà, coprendosi di gloria in nome della libertà.
Accanto a loro, una delle figure più eminenti del movimento cattolico di Liberazione nazionale fu Luigi Venanzio Vaggi, il comandante partigiano delle formazioni cattoliche “Giustizia e Libertà”. La sua non fu una scelta del momento, bensì il risultato di quasi vent’anni di ferma opposizione e meditata ribellione, confermata nei momenti più difficili, nonostante le critiche di chi la considerava una vera e propria ossessione, mancanza di discernimento o ottusità deplorevole. A distanza di anni, in un contesto diverso, il suo percorso potrebbe quasi sembrare forzato o romanzato.
Luigi Venanzio Vaggi nacque a Valenza il 7 maggio 1903 e seguì gli studi per ottenere il diploma di perito tecnico industriale. Dopo aver vinto un concorso, entrò nell’Azienda Statale delle Ferrovie dello Stato. Ma i primi anni della sua carriera venivano a coincidere sfortunatamente con l’avvento dello Stato totalitario e il giovane non si sentiva di soggiacere alle imposizioni che precludevano la carriera ai dipendenti che non fossero in regola con la iscrizione al partito unico: così la sua vita diveniva ogni giorno più difficile anche se le sue qualità, le sue capacità, la sua assiduità al servizio erano tali che non era possibile bloccarne gli avanzamenti. Era pervenuto ormai al grado di capostazione e a questo punto però la situazione era divenuta insostenibile: si trattava di scegliere l’inquadramento nei ranghi o la rinuncia al posto. Egli rinunziò. Rinunziò in un tempo in cui tutto mostrava che il regime, di successo in successo, avrebbe continuato a dominare il paese per i decenni venturi: nessun astrologo avrebbe avuto il coraggio di predirne la disfatta nel giro di pochi anni.
Decise di dedicarsi all’artigianato orafo, ricominciando dal principio, dall’alfabeto di questa professione con tenacia formandosi a un’attività che era tanto lontana da quella sin là svolta. Poi venne la seconda grande guerra e venne richiamato nei quadri dell’Aeronautica, prestando servizio a Novi Ligure e a Casale. Fu da allora che Luigi Venanzio Vaggi assunse le sue responsabilità facendosi iniziatore di contatti, di riunioni, di collegamenti nel movimento clandestino che doveva preparare di lunga mano l’inaugurazione in cui sarebbe sfociata al momento opportuno l’attività partigiana affiorante e moltiplicatesi dalla pianura ai monti. Assunse un ruolo di primo piano nel movimento clandestino antifascista e dal 01/04/1944 Al 08/05/1945 fu comandante della 11° Divisione Patria 43° Brigata, col nome di battaglia di “Gigi”. Si distinse per il coraggio e la determinazione con cui affrontò le forze dell’occupazione nazifascista, meritando il riconoscimento della Croce di Guerra.
Chiusa la vicenda bellica non volle mai accettare certe cariche pubbliche: e anche questo è un segno della purezza dagli istinti che lo avevano animato nei momenti della lotta. Inizialmente, quando si diceva con deliziato stupore “addavenì baffone” (oggi, addavenì il biondone), ebbe invece la presidenza della D. C. di Valenza e dell’Associazione per la difesa dei Valori Morali della Resistenza. Nel 1960 il Capo dello Stato lo insignì della Croce di Cavaliere al merito nell’Ordine della Repubblica. Quando Vaggi morì, nel 1970, le sue esequie furono partecipate da una folla immensa, segno tangibile dell’ammirazione e della gratitudine della comunità locale per questo prode valenzano, il cui impegno e il cui sacrificio avevano contribuito alla liberazione dell’Italia dal giogo nazifascista.
Oggi, che non contano le idee che possiedi, ma dove ti collochi, che i sacramenti e certi valori hanno sempre meno senso e comprensione, sembrano personaggi di un altro pianeta e se vi sembra inverosimile, avete ragione.