La politica a Valenza nel dopoguerra
La storia della città a cura del professor Maggiora
VALENZA – La vita politica a Valenza ha sempre avuto una lunga e ricca tradizione. Fin dalla fine dell’Ottocento, nella città erano presenti numerosi gruppi, associazioni e organismi a carattere politico che hanno intensificato la loro attività fino all’avvento del reboante fascismo. Dopo la parentesi del ventennio, l’opposizione clandestina al regime e la lotta di Resistenza hanno mantenuto vivo lo spirito democratico.
Dopo la Seconda guerra mondiale la nuova e composita scena politica locale rifletteva l’impegno e la partecipazione dei cittadini valenzani, desiderosi di contribuire attivamente alla costruzione di una società più giusta e democratica dopo gli anni della dittatura.
La sezione locale del Partito Comunista Italiano è stata fondata già nel 1921, subito dopo il famoso Congresso di Livorno che ne sancì la scissione dal Partito Socialista. Tuttavia, la sua vita attiva ebbe breve durata a causa dell’incipiente ascesa del fascismo. Fu solo nel settembre del 1943, grazie all’impegno di alcuni compagni impegnati nella lotta resistenziale, che la sezione comunista venne nuovamente ricostituita, dando vita a una fitta rete di cellule territoriali.
Fin dalle prime elezioni del dopoguerra, nel 1946, i comunisti, alleati ai socialisti, ottennero più del 70% dei consensi, affermandosi come la forza politica più influente nella città.
Questo predominio si sarebbe poi protratto per molti anni, con i comunisti che avrebbero guidato l’Amministrazione comunale in coalizione con l’altra forza della sinistra. La carica di sindaco, a partire dal 1951, è stata ricoperta da esponenti di spicco del Partito Comunista, come Dogliotti, Lenti (anche deputato), Piacentini (indipendente) e nuovamente Lenti (in ricorrente prorogatio).
Parallelamente all’influenza comunista, anche il consociato Partito Socialista aveva una lunga tradizione politica a Valenza, ammantata di autolesionismo, con radici che affondavano sin dai primi anni del Novecento e che sarebbero perdurate fino agli anni Novanta. Già nel primo dopoguerra, oltre al sindaco, Valenza poteva annoverare due deputati di estrazione socialista (De Michelis e Tassinari).
Dopo l’unificazione con i socialdemocratici e la successiva separazione (avvenuta negli anni 1967-1968), il Partito Socialista Italiano (PSI) ha sviluppato una lenta ma costante crescita procedendo molte volte in modo pragmatico nelle scelte in base alle opportunità del momento. Soltanto negli anni Settanta, nella gestione del Comune di Valenza, si è interrotta la storica unione tra il PSI e il PCI che, con familiari assonanze, era stata in atto dal dopoguerra; con la sola eccezione del biennio 1964-1965, in seguito alla formazione del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP) e al passaggio di quattro esponenti socialisti nel nuovo partito all’interno del Consiglio comunale. Poi l’ideologia si farà più duttile, subdola e la bandiera rossa si farà più arcobaleno.
Il Partito Socialdemocratico Italiano (PSDI), sin dalla sua fondazione nel 1948, ha goduto di un discreto seguito e di una buona organizzazione di partito a livello locale. Tuttavia, dopo le elezioni comunali del 1970 che hanno escluso i socialdemocratici dall’Amministrazione di Valenza, si è manifestata una certa assenza di questa formazione politica. Infatti, pur avendo sempre mantenuto loro rappresentanti nel Consiglio comunale, i socialdemocratici hanno svolto prevalentemente un ruolo di forte opposizione alle forze di sinistra e quindi all’amministrazione locale, ad eccezione del periodo di giunta assembleare negli anni 1968-1969. Respingendo sovente ogni proposta o facendosi trainare come ausiliari con scarsa oculatezza.
La Democrazia Cristiana locale, nata nel febbraio del 1943 come prima sezione nella provincia, non è mai riuscita, nelle varie tornate elettorali, a prevalere sul forte Partito Comunista Italiano parecchio radicato sul territorio. Nonostante gli sforzi, la Democrazia Cristiana non è mai riuscita a scalfire l’egemonia del PCI a livello comunale, rimanendo quindi un partito di minoranza nell’amministrazione della città.
Agli inizi degli anni Sessanta, la DC di Valenza manifestò una maggiore disponibilità verso la sinistra al potere. Questo cambiamento di atteggiamento fu dovuto all’ascesa di esponenti più giovani all’interno della dirigenza di un partito diviso in correnti che animavano il dibattito. Questi nuovi quadri, più aperti al dialogo e all’apertura politica, favorirono un avvicinamento alla sinistra, fino allora percepita come troppo radicale. Tuttavia, quest’atteggiamento più moderato e inclusivo durò solo per un periodo limitato.
Verso la fine degli anni Settanta, nuove forze si inserirono all’interno della DC valenzana, riportando il partito su posizioni più aggressive e polemiche. Questo mutamento di linea fu probabilmente dettato dalla necessità di riconquistare il consenso di una base più conservatrice, spaventata dall’eccessiva apertura verso la sinistra degli anni precedenti. Maturò pertanto un ripensamento (uno dei tanti) e il partito tornò così ad assumere posizioni più radicali e distanti dal passato, sostenendo anche un cristianesimo più morale e sociale piuttosto che religioso e confessionale, sospeso tra la bibbia, il mito dei lumi e avance new age.
Parallelamente a questi cambiamenti in seno alla DC, il Partito Repubblicano riuscì ad affermarsi sulla scena politica locale dalla fine degli anni Sessanta. Pur essendo una forza minore rispetto ai tre principali partiti (DC, Partito Comunista Italiano e Partito Socialista Italiano), il PR riuscì a conquistare un seggio in Consiglio comunale nelle elezioni del 1978, divenendo così per poco tempo l’unica formazione politica di minoranza rappresentata nell’assise cittadina, fingendo di contare.
Questo quadro politico locale, caratterizzato da oscillazioni e mutamenti nelle alleanze e nelle posizioni dei principali partiti, rifletteva i profondi cambiamenti sociali ed economici che stavano interessando Valenza in quegli anni, proiettandola verso una nuova dimensione politica e amministrativa.
Chiudiamo questo breve profilo sull’attività politica valenzana con un approfondimento sul ruolo cruciale del movimento operaio locale nel dopoguerra. Questo movimento ha svolto un ruolo decisivo nello sviluppo economico della città, ma purtroppo non è riuscito a tradurre questa forza in un’efficace azione rivendicativa e sociale, né a esercitare una vera e propria funzione di direzione nella vita politica cittadina. Diversi fattori hanno contribuito a questa situazione. Da un lato, l’alto livello di reddito e la particolare realtà aziendale locale non hanno favorito né stimolato la lotta della classe operaia, che è rimasta priva della necessaria capacità direzionale. Ciò ha permesso, in questi primi decenni del secondo dopoguerra, lo svilupparsi di una politica di alleanze fittizia e poco sostanziale con troppi capricci individuali, incapace di rappresentare in modo genuino gli interessi dei lavoratori.
Dall’altro lato, la guida dei principali partiti politici è stata saldamente nelle mani della media borghesia e della classe imprenditoriale, con tanti combattenti da salotto e con poca rappresentanza proveniente direttamente dalla classe operaia. Molti di questi esponenti politici di spicco hanno mantenuto i loro incarichi per diversi anni, rafforzando la distanza tra la dirigenza e le effettive istanze dei lavoratori. Questo squilibrio ha avuto un impatto rilevante sullo sviluppo politico e sociale della città di Valenza, limitando la capacità del movimento operaio di incidere concretamente sulle scelte che riguardavano il suo futuro economico e il benessere della comunità nel suo complesso.
Solo una maggiore rappresentanza e protagonismo della classe lavoratrice avrebbe potuto garantire una reale trasformazione del panorama politico locale e un più equilibrato e partecipativo processo decisionale, mentre non è riuscita quasi mai a cambiare la realtà delle cose.