Le nuove potenze dei videogiochi: la sfida di Polonia e Repubblica Ceca
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Itineraria A.I.  
22 Dicembre 2025
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Le nuove potenze dei videogiochi: la sfida di Polonia e Repubblica Ceca

In un’industria dominata da Stati Uniti, Cina e Giappone, due nuove potenze si fanno largo nel panorama videoludico globale: Polonia e Cechia. Oltre il semplice intrattenimento, i loro videogiochi diventano strumenti di soft power, identità culturale e ambizione geopolitica

L’industria dei videogiochi non è mai stata soltanto un comparto di intrattenimento: è un campo dove competizione economica, influenza culturale e sicurezza nazionale si intrecciano, rivelando un potenziale geopolitico ormai evidente. In questo quadro dinamico emergono attori inaspettati ma determinanti: non solo i tradizionali dominatori del settore (Stati Uniti, Giappone e Cina), bensì anche aree considerate “periferiche” nel grande racconto tecnologico globale. In particolare, due Paesi dell’Europa centro-orientale, Polonia e Repubblica Ceca, stanno sfidando egemonie convenzionali con un’industria videoludica in rapida evoluzione. La loro crescita non è riducibile a un semplice successo imprenditoriale: è un caso notevole in cui nazioni secondarie nel panorama tech riescono a generare un proprio spazio strategico, con implicazioni che vanno oltre il mercato del gaming e contribuiscono a plasmare identità e reputazione internazionale.

Negli anni Novanta, Polonia e Repubblica Ceca erano ancora immerse nella transizione dal socialismo di Stato all’economia di mercato, con settori industriali tradizionali in declino ed emigrazione massiccia di giovani talenti. Oggi, invece, Varsavia e Praga ambiscono a essere centri di innovazione, capaci di competere con poli storici come Silicon Valley e Tokyo nello sviluppo di videogiochi. La Polonia può contare su studi come CD Projekt Red, fondato nel 1994, autore di The Witcher 3 – tra i titoli più premiati di sempre – e di Cyberpunk 2077, divenuto a sua volta generatore di spin-off e prodotti derivati; su Techland, noto per Dying Light e su 11 bit studios, creatore di This War of Mine, particolarmente rilevante per le sue implicazioni geopolitiche. Il comparto polacco, nel suo complesso, produce valore per oltre 2 miliardi di dollari l’anno e impiega decine di migliaia di persone. Sul fronte ceco, la dimensione è più contenuta ma non meno incisiva: Bohemia Interactive (serie ARMA, ampiamente impiegata anche nei simulatori militari), Warhorse Studios (Kingdom Come: Deliverance, RPG acclamato) e realtà indie come Amanita Design (Machinarium) compongono un ecosistema sorprendentemente vitale.

Il boom non è casuale. Entrambi i Paesi hanno investito in istruzione tecnica e filiere formative: esempi sono l’AGH di Cracovia, con un gruppo di ricerca dedicato allo sviluppo di videogiochi, e il ČVUT di Praga, che propone corsi legati a game design e videogame architecture. A questo si sommano incentivi fiscali e politiche a favore delle startup, oltre a una connettività internet tra le più veloci d’Europa. Il vero fattore distintivo, tuttavia, è la capacità di trasformare vantaggi strutturali (costi operativi più bassi rispetto all’Occidente) in eccellenza creativa, producendo titoli che non sono meri cloni del mainstream americano, bensì opere dotate di una forte identità culturale. Sorrette da politiche favorevoli e da economie tra le più solide dell’Europa orientale, Polonia e Cechia hanno oggi uno spazio operativo reale per “spiccare il volo”.

Le conseguenze geopolitiche sono profonde, a partire dal soft power. Se Hollywood e Netflix restano centrali nella proiezione culturale occidentale, i videogiochi stanno diventando un veicolo altrettanto potente nel plasmare percezioni. The Witcher 3, ispirato alle opere dello scrittore polacco Andrzej Sapkowski, ha esportato folklore slavo ed estetica dell’Europa dell’Est in milioni di case, rivaleggiando con egemonie narrative di stampo americano; Kingdom Come: Deliverance, con la sua cura storica e l’ambientazione nella Boemia del XV secolo, ha riacceso l’interesse per la storia ceca proprio mentre l’Europa orientale cerca una riaffermazione identitaria dopo decenni di compressione simbolica. In questo senso, i videogiochi offrono una modalità potente di presenza culturale globale “oltre i cliché post-comunisti”. E, se confrontati con la Cina, la differenza cruciale è che Polonia e Repubblica Ceca operano in un contesto di libertà creativa: l’influenza risulta più sottile e, proprio per questo, potenzialmente più efficace.

In un’Europa spesso in ritardo nella competizione tecnologica dominata da USA e Cina, il videogioco può rappresentare un’eccezione strategica. CD Projekt ha sfidato colossi come Electronic Arts e Ubisoft rifiutando il modello del “gioco come servizio” fondato su microtransazioni, puntando su prodotti completi e di alta qualità. Bohemia Interactive, dal canto suo, ha difeso la propria indipendenza nonostante offerte di acquisizione, continuando a sviluppare simulatori impiegati da eserciti e accademie militari per l’addestramento. Questi prodotti – e più in generale l’ecosistema che li genera – richiedono competenze avanzate, integrazione tecnologica e l’uso di modelli di intelligenza artificiale sempre più sofisticati, senza dipendere necessariamente da conglomerati esteri, in un momento in cui l’UE tenta di ridurre dipendenze strategiche da piattaforme straniere.

Infine, i videogiochi non veicolano solo immaginari: possono trasmettere narrazioni politiche e, al limite, diventare strumenti di propaganda. Dopo lo scoppio della guerra in Donbass, This War of Mine è stato inserito tra i testi consigliati dal governo polacco nelle scuole per educare sugli orrori della guerra, segnando un precedente mondiale. La serie ARMA è utilizzata per ricreare scenari bellici e persino da modder ucraini per video propagandistici contro la Russia. A differenza del modello russo, spesso associato a troll farm e disinformazione, qui il messaggio si fa più persuasivo perché passa dalla forza immersiva del mezzo.

Le sfide restano concrete: la fuga di cervelli verso stipendi più alti in Germania o USA, la pressione di investitori esteri (anche cinesi e sauditi) che può erodere l’indipendenza creativa e la concorrenza dei giganti globali come Microsoft, Sony e Tencent, dotati di budget potenzialmente soffocanti. Proprio per questo l’Unione Europea può giocare un ruolo decisivo: ricerca, tutela della proprietà intellettuale e collaborazioni transnazionali possono consolidare uno spazio europeo nel settore, con Varsavia e Praga in capofila. In definitiva, l’ascesa di Polonia e Repubblica Ceca mostra come il potere geopolitico si stia spostando verso il dominio digitale: in un mondo dove chi controlla le narrazioni controlla anche le percezioni, non serve essere una superpotenza per giocare una partita globale, purché si sappiano sfruttare creatività, autonomia tecnologica e visione strategica.

Matteo Andreoni

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Matteo-Andreoni-Itineraria Matteo Andreoni: laureato in Ingegneria Energetica al Politecnico di Milano, collabora dal 2024 con Itineraria Online.

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